Nebrodi – Emergenza Incendi…i giorni della rabbia

Oggi la furia distruttiva dei piromani non è più accettabile dal punto di vista ambientale, ne sostenibile da quello sociale. Muoiono le persone, i danni non sono più riparabili, vista l’ampiezza del reato e il senso di abbandono del cittadino da parte delle Istituzioni fa il resto. Che fare? Lo Stato, in passato ha dovuto affrontare con pochi mezzi altre emergenze altrettanto gravi. Il terrorismo per citarne una. Non c’era certo un poliziotto per ogni cittadino eppure ne è uscito ricorrendo alla legislazione di emergenza che gli ha consentito di venirne a capo. Perché non valutare anche per l’emergenza incendi provvedimenti analoghi? Perché non consentire la bruciatura degli sfalci in determinate condizioni? Perché non dare incentivi specifici per il discerbamento dei fondi agricoli? Perché non continuare a produrre Canadair? “Paura varda vigna e no supala”(certezza della pena e non reticolato preserva il vigneto), dicevano i nostri padri che di risorse ne avevano molto meno delle nostre. Proclami, vedette sparse sui punti strategici di osservazione e migliaia di euro spesi per la prevenzione e l’avvistamento, servono (complice anche la sicula omertà) a ben poco Insomma siamo in mezzo ad una guerra non dichiarata con tutto ciò che questo comporta.

Non appena le Prefetture diramano battano l’allerta meteo e segnalano venti ecco che, puntualmente, quella che si può considerare la Svizzera siciliana, ovverossia i Nebrodi, va a fuoco in lungo e in largo e questo, manco a dirlo, si ripete in tutta la Sicilia con conseguenze catastrofiche per l’ambiente, gli animali e le strutture produttive e, in particolar modo quelle agricole e forestali. Un copione che va avanti da decenni con un crescendo continuo. Stesso periodo, stesse aree, che man mano diventano sempre più vaste e gli immancabili morti che accompagnano l’opera dei piromani. E già perché ormai all’incendio che scoppia per autocombustione non ci crede più nessuno. Ed ecco che, sulla scena, sempre più “arroventata”, con notti che sembrano la risultante di un’incursione di fortezze volanti già conosciute nel 43 in Sicilia, compaiono, assieme ai mezzi antincendio di tradizionali, elicotteri e aerei in un crescendo di spesa a livelli non più accettabili che incidono profondamente sulle tasche dei contribuenti. Insomma siamo in mezzo ad una guerra non dichiarata con tutto ciò che questo comporta.

Proclami, vedette sparse sui punti strategici di osservazione e migliaia di euro spesi per la prevenzione e l’avvistamento, servono (complice anche la sicula omertà) a ben poco così come le varie ordinanze che impongono ai proprietari la pulizia dei fondi e la leggi che vietano tassativamente qualsiasi attività che implichi l’uso del fuoco da giugno ad ottobre. “parole al vento” che bruciano insieme al territorio. A volte la pezza è peggiore del buco. Come il divieto di bruciare le sterpaglie durante la calura estiva diventa un boomerang.

Ci si chiede che senso ha pulire il terreno quando poi è vietato bruciare le sterpaglie che immancabilmente rimangono sotto le piante, essiccano sempre più e diventano più infiammabili della benzina. Basta l’opera di un malintenzionato e il fuoco diventa inarrestabile e a poco vale che gli alberi siano stati discerbati perché le fiamme, in un baleno, dilagano sfruttando anche la vegetazione rasata. Da secoli alla pulitura seguiva la bruciatura degli sfalci; di incendi ne scoppiavano ben pochi e quei pochi erano comunque limitati e facilmente domabili. Come dire al danno la beffa. Ma si sa la normativa, resasi necessaria a livello comunitario per contrastare il fenomeno dell’incenerimento indiscriminato di materiale in gomma nelle grandi serre, ha subito bel pochi aggiustamenti e non tutti in positivo.

Perché non mettere per bruciare gli sfalci determinate fasce orarie e considerare anche le condizioni meteo, che senso ha mantenere il divieto anche nei giorni di pioggia? Non sarebbe più giusto utilizzare queste congiunture naturali per eliminare un bel po di “dinamite”? Bruciare erba non è come bruciare copertoni. Salvatore Cocina, Dirigente Generale della Protezione Civile della Sicilia, stima che servirebbero non meno di 300 vigili del fuoco in più e che gli uomini della Forestale regionale siano sotto organico di circa 400 unità. I volontari di protezione civile fanno quello che possono ma non bastano.

Ci sono poi gli oltre 20.000 operai forestali della regione a chiamata annuale. Il WWF si chiede se siano correttamente impiegati o se proprio a loro, con la dovuta formazione, potrebbe essere dato un ruolo più specifico che per altro rafforzerebbe la loro richiesta di stabilizzazione”. L’obiettivo dovrebbe essere quello di trasformare il costo degli operai forestali, stimato dalla Corte dei Conti in oltre 60 milioni di euro l’anno, in un investimento in termine di prevenzione antincendio e specifico supporto in caso di necessità. Ancora il WWF:” –

La Sicilia deve uscire dal paradosso di essere tra le ultime regioni italiane per copertura forestale (secondo l’inventario forestale nazionale sono 381.647 gli ettari boscati della Regione) e allo stesso tempo, nonostante abbia il più alto numero di persone dedicato alla gestione e alla sorveglianza, nell’ultimo decennio è stata fra le prime regioni d’Italia per le superfici interessate dal fuoco. Le cause primarie di questa situazione sono principalmente due: il cambiamento climatico e il persistere di una situazione di assoluta carenza nella gestione delle superfici boschive e degli incendi, oltre alla sicura presenza di criminali che troppo spesso agiscono nell’impunità. Gli incendi si ripetono sempre con le stesse modalità: coincidenza assoluta degli incendi con le condizioni meteo avverse, contemporaneità degli incendi in località diverse, partenza del fuoco all’inizio delle ore serali, punti multipli degli inneschi e scelta dei luoghi con “professionalità” da conoscitori.”

Tutto ruota sul fattore umano. Ed è proprio su questo che diventa interessante l’analisi dell’ex sindaco di Castell’Umberto Vincenzo Lionetto: “Lo stravolgimento del modello economico/politico- scrive- ha portato all’abbandono delle campagne. L’uomo era la vera reale “sentinella antincendio” con la sua gestione del territorio. Preveniva per sé e per l’ambiente. Abbiamo in Sicilia il più alto “consumo di suolo, costruiamo senza un adeguato rispetto di parametri ambientali, tirandoci dietro non solo incendi ma dissesto idrogeologico che arriverà conseguenzialmente alle prime piogge. Scarichiamo spesso quasi tutto sui piromani che certo vigliaccamente agiscono, ci sono sempre stati e ci saranno sempre trovando oggi “terreno pronto ” per coltivare i loro malefici, orrendi interessi.

“Ma ciò potrebbe essere un fattore solo in parte perché a giudicare dalle persone impiegate in agricoltura; le cosiddette “giornate agricole”, tanto utili per combattere la disoccupazione e sulle quali, spesso, la Magistratura vuole vederci chiaro, più che appezzamenti di terreno dovremmo avere “giardini fioriti”. I fattori esaminati certamente influiscono sulla distruzione del territorio ma non certo nella misura e negli effetti nei quali vengono presentati. Perché se è vero che vigili e forestali sono sotto organico, è altrettanto vero che in Sicilia sono più che nelle altre regioni. Se è vero che da noi il clima si è “arroventato” non è che nel resto d’Italia sia tanto diverso come dimostrano i ghiacciai che si sciolgono sempre più. Se è vero che i giovani sono stati costretti per una miriade di motivi ad abbandonare le campagne, è altrettanto vero che tanti altri sono rimasti e altri ancora riscoprono la vita “bucolica”. Se e vero che i privati non ottemperano alle ordinanze di pulitura dei terreni è anche vero, per contro, che alcuni Enti Pubblici puliscono i cigli delle strade con notevole ritardo.

Quest’anno poi gli oltre 40 gradi registrati a luglio hanno, di fatto, impedito qualsiasi attività di rilievo nelle campagne. Tutto è il contrario di tutto tranne che per il discorso dei piromani. E qui la nota dolente. “Paura varda vigna e no supala”(certezza della pena e non reticolato preserva il vigneto), dicevano i nostri padri che di risorse ne avevano molto meno delle nostre e, nonostante ciò, gli incendi erano quasi inesistenti se si escludono i fuochi per bruciare “I disi” o per “creare” terreno per la pastorizia. Una piaga anche quella ma, in ogni caso, limitata. Oggi la furia distruttiva dei piromani non è più accettabile dal punto di vista ambientale, nè sostenibile da quello sociale. Muoiono le persone, i danni non sono più riparabili, vista l’ampiezza del reato e il senso di abbandono del cittadino da parte delle Istituzioni fa il resto.

Che fare? Lo Stato, in passato ha dovuto affrontare con pochi mezzi altre emergenze altrettanto gravi. Il terrorismo per citarne una. Non c’era certo un poliziotto per ogni cittadino eppure ne è uscito ricorrendo alla legislazione di emergenza che gli ha consentito di venirne a capo. Perché non valutare anche per gli incendi provvedimenti analoghi? Perché non consentire la bruciatura degli sfalci in determinate condizioni? Perché non dare incentivi specifici per il discerbamento dei fondi agricoli? Perché non continuare a produrre Canadair? E intanto dopo ogni sciroccata arriva puntuale la bomba d’acqua e completa l’opera del fuoco.

Enzo Caputo

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