Mondo – Olocausto tutti sapevano ma nessuno intervenne! La vita degli ebrei non era una priorità militare

Che gli ebrei finivano nei forni gli alleati lo sapevano fin dai tempi della sua pianificazione, cioè nel 1942. Durante la guerra, poi, furono almeno una trentina le associazioni ebraiche che fecero pressione per chiedere un intervento, tra queste il Congresso mondiale ebraico. Ma non riuscirono a ottenere nulla.” A sostenerlo è Arcangelo Ferri, giornalista Rai, autore del libro Bombardate Auschwitz.

Il martirio degli ebrei nei campi di concentramento nazisti era dunque noto a tutti quelli che potevano e dovevano fare qualcosa. Sarebbero bastati bombardamenti mirati, che, specie nell’ultimo anno di guerra, avrebbero permesso di salvare la vita a tantissimi esseri umani perché, se all’inizio del conflitto per costruire i famigerati KL, cosi si chiamavano i “Konzentrationslager”, furono necessarie parecchie settimane, ricostruirli, specie nel ’44, con i russi che premevano sul fronte orientale, la “Luftwaffe” ridotta all’ombra di se (anche se ancora in grado di lasciare il segno), sarebbe stato, se non impossibile, almeno oltremodo difficoltoso.
Ma ciò non avvenne. I lager continuarono a funzionare a pieno ritmo e anzi, sotto la spinta degli eventi bellici aumentarono addirittura il funesto bagaglio di morti. Bisognava far presto e, i nazisti, consci della fine, non volevano lasciare testimonianze. Fu così che i circa 15.000 campi grandi e piccoli esistenti, compresi quelli italiani, tristemente noto Fossoli, continuarono a macinare vittime. A dirla tutta però in America ci fu chi si adoperò per sensibilizzare l’opinione pubblica al problema ma ogni opzione militare fu sempre avversata dalle influenze antisemitiche che si annidavano nei vertici militari.
Capitava sovente che si bombardavano fabbriche tedesche confinanti con i campi ma questi ultimi venivano incredibilmente evitati. McCloy- vice segretario alla Guerra americano, che decideva le priorità militari, respinse sempre ogni richiesta. L’intervento – sosteneva -avrebbe richiesto una pianificazione troppo lunga, ed era troppo difficile. Lo stesso, poi, accadde anche in Inghilterra. Churchill, una volta informato, diede l’ordine di colpire le linee ferroviarie. A trasmetterlo fu Anthony Eden, membro dell’esecutivo per la politica di guerra. Ma i vertici militari si opposero.
la foto ritrae Churchill, Roosevelt e Stalin a Jalta
Gli ebrei tedeschi inoltre nella seconda metà degli anni trenta, cercarono, a migliaia, di riparare negli States senza però riuscirci per via delle rigide misure in materia di rilascio dei visti d’ingresso. E il comportamento della Santa Sede? Avvolto, ad oggi in un mare magnum che solo facendo un passo indietro si può tentare di dipanare. Hitler vinse le elezioni con il voto decisivo del partito cattolico, concesso dopo che lo stesso aveva promesso da parte del governo il rispetto dei concordati locali e assunto l’impegno di assicurare a entrambe le confessioni cristiane l’influsso che loro spettava nell’educazione e nella scuola, ravvisando in esse «fattori essenziali per la tutela morale del nostro popolo».
Un muro questo forse insormontabile per le «alte notabilità israelite» che si erano rivolte al papa «per invocare il suo intervento contro il pericolo di eccessi antisemitici in Germania», Pacelli aveva scritto al nunzio a Berlino, Cesare Orsenigo, per invitarlo a «vedere se e come sia possibile interessarsi nel senso desiderato». Nella sua risposta però il nunzio si dichiarò nettamente contrario ad ogni intervento. Con il decreto del 7 aprile infatti la «lotta antisemita – scrisse- ha assunto carattere governativo».
Un intervento del rappresentante della Santa Sede sarebbe equivalente a una protesta contro una legge del governo, e si configurerebbe dunque come un’intromissione nelle faccende interne tedesche. In sostanza, almeno in quel periodo, la Chiesa mise la testa sotto la sabbia.
Enzo Caputo
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