Brolo – Vittorio Ballato, il poeta brolese è partito per un “paese sconosciuto” (video)

Vittorio Ballato, il poeta di Brolo ci ha lasciati per un “paese sconosciuto”. Aveva 76 anni e da qualche tempo lottava contro un male che, malgrado la tempra e la tenacia del maestro brolese, ha avuto la meglio.

Vittorio Ballato avrebbe compiuto 77 anni il prossimo 27 giugno. Insegnante elementare per circa 35 anni, era sposato, padre di due figlie e nonno di due bellissime bambine. Il poeta di Brolo, com’era ormai universalmente conosciuto (e riconosciuto), aveva stabilito con la lingua siciliana un rapporto speciale, conoscendola ed amandola profondamente. Cimentandosi nell’arte della composizione in versi e dell’acrostico, la poesia era diventata per lui ragione di vita e di diletto. Attento osservatore dell’animo e della vicenda umani, Vittorio Ballato componeva i suoi impareggiabili versi con sguardo critico e finemente ironico, rivolto pure ai temi sociali e politici. Per l’editore Armenio aveva pubblicato Rimi e sunetti, I colori dell’anima  e Poesie Siciliane, la sua ultima raccolta di successo, scrigno di luoghi, personaggi, paesaggi e sentimenti.

Vittorio Ballato, con un processo di crescita artistica e sentimentale ragguardevole, ha saputo parlare in versi, con un compendio di costruzioni linguistiche e concettuali di “gran lussu”, come egli stesso scrive nella sua raccolta Poesie siciliane di donna Carmela, un pirsunaggiu d’u paisi ‘i Brolu, donna Carmela, ditta “a bidella”.

Sbattiu ‘nta scola chiù di quarant’anni, / facennu di gran lussu ‘u so duviri, /

sempri primurusa, mai senz’affanni, / facia chiddu ch’era in so putiri.

Sbattìu… Vittorio Ballato ha voluto dire ‘sfacchinò’, ‘sgobbò’, si ammazzò di fatica e lavoro? Volle dire questo di donna Carmela, scrivendo “Sbattiu ‘nta scola chiù di quarant’anni”? Volle dire questo ed altro ancora. Vittorio Ballato, con un termine (sbattìu) che non è una semplice parola, ma una formula concettuale, una testimonianza sentimentale, un pensiero che respira, una parola che brucia, ha voluto rendere omaggio alla poesia, alla realtà e al suo popolo; perché così noi parliamo e ci esprimiamo, così noi viviamo.

Del resto, “se la poesia non nasce con la stessa naturalezza delle foglie sugli alberi, è meglio che non nasca neppure”, scrive John Keats.

“La maggior parte della gente ignora la maggior parte della poesia, perché la maggior parte della poesia ignora la maggior parte della gente”.  E’ un arguto e condivisibile pensiero di Adrian Mitchell.

Vittorio Ballato ha saputo esprimersi con la forza della gente, con la sua lingua e col suo codice espressivo, col suo DNA psicologico e tradizionale. Così Vittorio, di donna Carmela, ha scritto sbattìu, per dire, con una sola parola,  affaticarsi, lavorare, sfacchinare, darsi un gran da fare, sgobbare, ammazzarsi di fatica e di lavoro, sudare, faticare tra le difficoltà, sfaccendare ed altro ancora. Vittorio, appropriandosi del modo (e del mondo) popolare, ha saputo dire in una sola parola, emozionando, descrivendo, scomodando la memoria, commuovendo, disegnando epoche, condizioni, mestieri e misteri.

Per me la poesia è un tentativo malizioso di dipingere il colore del vento”, scrive Maxwell Bodenheim, come straordinariamente riusciva a fare Jean Cocteau e come Proust (per sua stessa ammissione) riusciva ad “esprimere solo in modo assai pallido”. Così di donna Carmela, Vittorio Ballato, scrive “facennu di gran lussu ‘u so duviri”. Perché duviri è parola che ‘brucia’, è un monumento antropologico, politico, è lo stigma etico e morale di un popolo, il sembiante antropologico di una stirpe, di una famiglia o di una singola persona: è un precetto, un sacramento, un’ideologia, un’attitudine. Il “dovere” è altra cosa: è un atteggiamento più che un’attitudine; è un comportamento imposto dalla norma, un fatto burocratico, un asettico adempimento di legge.

E in queste latitudini umane, sociali e culturali, tanto in famiglia quanto in società, fare “di gran lussu ‘u so duviri”, ‘gran lusso’ non è sinonimo di fasto, di grandezza, di eleganza, di pomposità o di sfarzosità, giacché pure nella frugalità, nella modestia e perfino nella povertà si farebbe di gran lussu ‘u so duviri, vale a dire con estrema dignità, al meglio, con decenza e decoro, con fierezza e orgoglio, con fare onesto, onorevole ed educato. Come comandano Dio e la coscienza.

Ed è proprio alla coscienza (e al lettore) che Vittorio Ballato si rivolge in Poesie Siciliane, chiedendo “pirdunu si t’annoiu, cu ‘sti versi chi parrunu di mia”.  Vittorio è consapevole di avere scalato “coi ginocchi piagati” le fenditure taglienti dello splendido Scoglio che disegna le sue giornate brolesi:

Puru tu tegni ‘u cori ‘ccussì strittu, / ti senti comu a mia, cottu e stracottu, /

ci rimisi lu populu scunfittu, / chi a ‘stu puntu po’ fari fagottu.

Ma è così: “Le più belle poesie si scrivono sopra le pietre coi ginocchi piagati e le menti aguzzate dal mistero”, sosteneva la grande poetessa Alda Merini, e Vittorio Ballato, dalla città di Brolo sarà onorato per averla onorata questa città:

‘U Scogghiu ‘i Brolu ‘n menzu di lu mari, / si spicchiulìa ‘ntra l’unni dda ‘n fora,
l’arvuli su l’alturi cullinari, / brillanu comu ‘u riverbu ‘i l’aurora.

Chi cummòzioni, quantu sintimentu / ‘stu prisenti scinariu mi rinnova,
caminu, vardu e tuttu ‘n cori sentu!

Vittorio Ballato in questa sua prorompente raccolta onora la poesia, la Sicilia e i siciliani (la malizia attiva dell’homo faber e la sua manesca, curiosa ingegnosità), Brolo e i suoi figli (di cui egli stesso è figlio, padre e marito). Vittorio in questa sua invidiabile raccolta di versi rende onore alla vita, al mondo e alla poesia; ad Ugo Foscolo (un pueta chi nun fu tantu filici, / Godi ancora oi di ‘ranni stima, / Untu di quarchi Musa ‘spiratrici, / chiddu chi li Sunetti misi ‘n rima).

Vittorio, con maestria e raffinata sensibilità descrive e cesella luoghi e persone; rende omaggio all’uomo e a Dio con amorevolezza e rigore; con la schietta potenza espressiva (a prima botta) che gli è propria (perché appartenuta al suo popolo):

Patri pi tutti ti sta’ dimustrannu, / A prima botta appi ‘sta ‘mprissioni,
Pirchì l’umanità ‘i Cristu sta’ dunannu, / A li malati in tinti cundizioni.
Se Jean Cocteau ironicamente scriveva: “So che la poesia è indispensabile, ma non saprei dire per cosa”, Vittorio Ballato ne propone (compiutamente) un auspicabile uso:

Si putissi chî me’ versi calmari, / li peni ê malati in chista vita,
ogni ura mi mittissi a rimari, / e la me prijzza fussi ‘nfinita!

 Vorrebbe che fosse guaritrice la poesia, Vittorio, linimento e vittoria, in omaggio a Dio, alla vita e al suo stesso nome. Perché, sia chiaro: “Se i poeti perdono, il mondo non vincerà” (Ibrahim Nasrallah).

“Non piangere – ti dicevo – “è vero, me ne andrò prima di te, ma quando non ci sarò più ci sarò ancora, vivrò nella tua memoria con i bei ricordi: vedrai gli alberi, l’orto, il giardino e ti verranno in mente tutti i bei momenti passati insieme. La stessa cosa ti succederà se ti siederai sulla mia poltrona, o quando farai la torta che ti ho insegnato a fare oggi, e mi vedrai davanti a te con il naso sporco di cioccolato.. e sorriderai!” (Susanna Tamaro)

Su tutte le tombe dovrebbe essere scritto: non piangetemi perché sono morto, ma perché avrei voluto dirvi un’altra cosa…

Con molto affetto

Mimmo Mòllica

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